Livorno, 1848 ca
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Tito Checchi, figlio Leopoldo e Carlotta Becchi, nasce a Livorno nel 1848. All'età di 18 nni, come tanti suoi coetanei italiani infiammati da ideali di libertèà e giustizia decide di arruolarsi tra le file del Corpo Volontari Italiani al seguito di Garibaldi per la liberazione del Tirolo meridionale occupato dagli austriaci.
Si arruola il 6 giugno del 1866 e viene incorporato come furiere nel 6° Reggimento, 4° Battaglione, 24^ Compagnia. Parteciperà alla celebre Battaglia di Bezzecca, in cui rimane gravemente ferito.
Al suo ritorno a Livorno, incontra il fratello giornalista e scrittore Eugenio , cui racconterà nei dettagli le vicende vissute in guerra. Eugenio, con il suo talento per la scrittura, le tradurrà in un diario, pubblicato in diverse edizioni.
Dalle pagine del diario, trascriviamo alcuni tra i passaggi più interessanti.
Storia commovente di un'amicizia
Checchi descrive le vicende di una sentinella che, non curandosi di cosa potesse accadere intorno, era immerso nella lettura di un romanzo di Victor Hugo. Si trattava di un giovane di Civitavecchia di 22 o 23 anni, mente colta e arguta. Fuggito di nascosto da casa, fu inseguito dai gendarmi fino al confine arrivò a Bari a proprie spese quando ormai gli arruolamenti erano chiusi ma riuscì a convincere il foriere ad incorporare tra i volontari anche lui. Cos' potè fare anche lui la campagna del Tirolo ma una palla gli trapassò il petto il 21 luglio, e Checchi lo rivide moribondo presso l'ospedale di Tiarno. Checchi ripensa all'amico. «Sei tu vivo ancora, o amico carissimo , compagno indivisibile in tante notti vegliate pattugliando su per i monti? Se la pietà e la scienza dei chirurghi t'hanno salvato dalla morte , e queste mie parole ti vengano sott'occhio , tu capirai chi sia l'autore delle Memorie , e mi vorrai mandare una parola d'affetto, mi vorrai dire se quella tua cara madre sopravvisse al dolore di saperti fuggito , e poi malmenato dagli Austriaci».
La vista dei feriti di Custoza (24 giugno 1866)
I volontari si precipitarono agli sportelli alla vista di tanti soldati feriti e mutilati e quei soldati furono sorpresi di tanto affetto dimostrato dalle camicie rosse. In quello stesso convoglio c'erano 300 prigionieri austriaci: «Mi fa pena dover confessare che alcuni dei nostri, esasperati dalla vista delle ferite toccate ai valorosi soldati, accolsero con fischi i prigionieri. Ma essi rimanevano impassibili, spenzolando dagli sportelli que' loro visi sudici e que' baffi di capecchio».
Ferimento a Bezzecca
«Mi ritrassi a carponi poco distante con la rabbia nel cuore. Il grosso della compagnia aveva raggiunto i nemici e la lotta era accanitissima «urli ferocia assordavano l'aria, il cozzo delle baionette si mesceva al rumore delle fucilate , di qua e di là molti cadevano: più che una battaglia si poteva dire un duello sanguinoso , nel quale i miei compagni, forse tre volte inferiori di numero, dettero prove di mirabili valore». Sembrò che gli austriaci ebbero il sopravvento sui nostri ma dal fondo della strada si sentì il rumore di una carrozza , si vide Garibaldi e suo figlio Menotti lanciarsi: «Avanti figliuoli!..se avete coraggio la giornata è nostra! Le posizioni sono state rirpese dal nono reggimento: dobbiamo avere la vittoria su tutta la linea!». Fu un sublime momento, i miei compagni si aggrupparono ancora , scemato il numero pareva che raddoppiasse in loro il coraggio , quasi volessero combattere anche per i caduti ; sono addosso ai nemici con tale impeto e con la baionetta ne fanno strage. I tirolesi si volsero in vera e irreparabile fuga, Bezzecca rimaneva a noi , e ciò doveva senza alcun dubbio agevolare il successo della giornata.
Checchi Eugenio, Memorie alla casalinga d’un garibaldino. A cura di G. Poletti, Quaderno N. 28, Cooperativa Il Chiese, Storo (Tn), Settembre 1996